Intervista a Giacomo dei Vento d'Ottobre

Questa intervista risale al novembre del 2015. Avrei voluto inserirla nel nuovo numero della fanzine, ma il tempo passa e la bradipe abitudini non cambiano quindi è rimasta dentro la cartella "Porrozine #8" del mio pc, fino ad oggi. La fanzine uscirà prima o poi, però questa chiacchierata è un po' datata per apparire su dei fogli che circolano con una media di 3-4 anni gli uni dagli altri... non troppo datata, in compenso, per condividerla su questo blog.


Quando Giacomo mi contattò non ero tanto propenso a continuare con le coproduzioni, ma gli Ingegno -la sua vecchia band- erano un gran gruppo, i nuovi pezzi che mi aveva appena inviato erano una bomba, gli altri coproduttori tutte facce note e due spicci da parte li avevo, tutto coincideva, così accettai dopo una prima risposta titubante, e -detto fra noi- sono strafelice di averlo fatto. Ecco cosa ci siamo detti...




Voi le leggete le biografie dei gruppi? Io di solito no, ma dei Vento d'Ottobre non si sa davvero nulla, quindi... chi, cosa, quando, dove e soprattutto perché?

Innanzitutto permettimi di ringraziarti anche in questa sede per averci dato una mano a far uscire il nostro primo lavoro, avendo -con grande entusiasmo- preso parte alla coproduzione del disco insieme ai ragazzi delle altre etichette. A dire il vero non è che ci sia molto da dire riguardo la biografia del gruppo, abbiamo all’attivo pochi concerti e un solo album uscito ad ottobre 2015. Diciamo che l’idea iniziale del progetto è stata la mia, ormai più di un annetto fa. Ho contattato vecchi e nuovi compari in zona Perugia, militanti all’epoca con i Brave (Alvaro alla chitarra e Andrea alla batteria) e con i Locked In (Napo al basso), riuscendo insieme a definire il nucleo originario. Dopodiché, più o meno dallo scorso inverno, si è aggiunto alla chitarra anche Toffolo ex Lucida Follia, la cui presenza ci ha permesso di completare la line-up e di cominciare a fare le cose un po’ più seriamente. Da ultimo, proprio quest’estate, si è aggregato anche il nuovo bassista Alessio (già batterista dei La Horde) in sostituzione a Napo, che ha dovuto abbandonare il gruppo a causa di impegni lavorativi. In questo annetto circa abbiamo scritto e poi registrato i pezzi, con i dovuti tempi e in realtà senza eccessive pretese iniziali. Tuttavia, mano a mano che si andava avanti con la stesura e l’incisione delle canzoni, ci accorgevamo che le stesse uscivano fuori in maniera abbastanza discreta, e alla fine il risultato è stato “Avete più paura Voi”. Non che sia un disco di platino eh, ma devo dire che noi personalmente siamo abbastanza soddisfatti del risultato. E in fin dei conti penso sia questo ciò che sta a cuore a chi compone e suona. Chi ha familiarità con l’hardcore punk non si esimerà certo dall’asserire che la pappa sia sempre quella, cioè vecchia scuola col cantato in italiano, ecc... ma sono comunque persuaso del fatto che a parecchi questa pappa piaccia e piacerà ancora. E poi piace a noi, quindi, come dicono in lingua d’oïl, sti gran cazzi no?


Per quanto mi riguarda, era dai tempi dei Sottopressione che non sentivo un intero CD così potente e "quadrato". Mi parli un po' della gestazione di "Avete più paura Voi"?

Come accennavo, tutto quanto è partito così quasi per gioco, senza grosse pretese, per la serie “rimettiamoci in sala prove e vediamo se ancora ci sappiamo fare”, e alla fine è uscito fuori un buon lavoro. Il discorso di disco “potente e quadrato”, anche li è venuto fuori strada facendo. Devo dirti la verità, e ti sembrerà un paradosso. Come ben sai, chi suona e registra non è mai contento al 100% delle proprie creazioni, essendoci sempre qualche pelo nell’uovo da cercare e trovare. Se dovessi fare una critica al disco, beh è proprio quella di avere un suono un po’ troppo compatto e compresso rispetto a sonorità più aperte e fedeli al momento live, che preferisco di gran lunga (appunto, vecchie registrazioni in presa diretta e in ADAT tipo i Sottopressione, ecc...). Ma diciamo che, nel bene e nel male, il disco è venuto così come lo senti senza aver pianificato preventivamente il risultato finale. In un modo assolutamente naturale e spontaneo, abbiamo registrato strumento per strumento e traccia per traccia (la quasi totalità degli arrangiamenti era pronta prima di andare in studio), poi le voci e i cori, e infine sono stati eseguiti missaggio e mastering ad un livello discreto. Il tutto (quasi) realizzato dal nostro vecchio amico Alex di Hell Smell Studio (non le voci, registrate da Diego Radicati di Urban Studio). Se a tuo avviso, e non solo a tuo avviso, il disco suona così potente e quadrato, probabilmente è dato anche dal fatto che nella sequenzialità delle varie fasi di registrazione abbiamo cercato di essere sempre molto curati ed attenti. Non siamo (approssimativamente) mai tornati indietro, ma questo proprio perché se qualcosa non ci piaceva non andavamo avanti. Secondo me poteva venire ancora meglio, in particolare i suoni e l’ “ampiezza” delle riprese iniziali. Ma come ti dicevo, chi compone tendenzialmente non è mai soddisfatto fino in fondo del proprio operato.



Leggo che "Ogni nuovo giorno" è un pezzo scritto dagli Ingegno... era previsto un nuovo disco o è un caso isolato?

Si, “Ogni nuovo giorno” era una vecchia canzone degli Ingegno, proprio tra le prime che scrivemmo, che non abbiamo mai registrato, e pertanto “inedita”. E’ semplicemente un tributo a quegli anni ormai lontani, ed è dedicata ai vecchi componenti del gruppo. Principalmente al nucleo storico, cioè a Marco e a Mics, dato appunto il valore “romantico”, affettivo, e se vuoi anche un po’ ingenuo, che ha rappresentato e che tutt’ora conserva per noi questo pezzo scritto una quindicina d’anni fa. Sono stati, quelli degli Ingegno, anni fondamentali di formazione. Un’esperienza esistenziale, di condivisione e di libertà, che ci ha arricchiti sotto tutti i punti di vista, soprattutto da quello umano. Così ho proposto agli altri di registrare questo pezzo e di inserirlo nella tracklist del disco, anche perché in fin dei conti non è male per niente. Quindi no, essendo “Ogni nuovo giorno” proprio una delle nostre prime canzoni composte, posso assicurarti che dopo “Ancora Sveglio” non era stato scritto alcun nuovo materiale (o anche se fosse, è ormai andato perduto nell’oblio della memoria), e di conseguenza non era previsto un ulteriore album.

Visto che siamo in argomento torniamo indietro con gli anni... due di voi suonavano negli Ingegno e nei Lucida Follia, gruppi che avevano un certo seguito e che sfornavano dischi e concerti con una certa frequenza (almeno gli Ingegno). Perché sono finite quelle esperienze? Che fine hanno fatto gli altri membri delle band? Se non sbaglio tu portavi avanti anche la Hurry Up! Records...

Da quanto ne so i Lucida Follia si sono estinti per diversi motivi, tutti un po’ legati alle vicissitudini, col passare degli anni sempre più incombenti, della vita dei vari componenti del gruppo. Mi pare che il batterista Paolo si fosse proprio trasferito all’estero dove è stato per diversi anni, Stefano il cantante aveva anch’egli lasciato il gruppo per trasferirsi a Milano, mentre il chitarrista Gabe e il bassista Davide dovrebbero entrambi vivere e lavorare a Roma. E per quanto concerne gli Ingegno la questione non è andata poi così diversamente. Io dico sempre che il gruppo è morto di morte naturale, che aveva finito la sua “missione storica”, e che era arrivato a compimento. S’erano esaurite quella linfa e quella spinta propulsiva che dovrebbero sempre essere presenti in ogni gruppo, per permettergli di sussistere nel tempo, di rinnovarsi, e non da meno di divertirsi suonando in giro. In più, erano scaturite altre esigenze, nuovi grilli per la testa dei componenti, nuovi interessi, lavori, meno momenti liberi ecc. Quando facemmo l’ultimo concerto, ormai sei anni fa, fidati che nessuno di noi sapeva lo sarebbe stato. Ci siamo salutati come sempre il giorno successivo, e poi, dopo tipo 7/8 mesi (mi pare), senza aver più fatto prove né concerti, mi sentii con Mics al telefono, e concordammo insieme che l’inevitabile era accaduto: lo scioglimento. Ora Mics, il batterista, vive e lavora a Roma (tra i molteplici suoi progetti suona anche con i Cayman The Animal), Marco, il bassista, vive in Francia da parecchi anni, mentre gli ultimi due chitarristi, Napo e Angioletto (ne abbiamo cambiati diversi), lavorano entrambi nella musica (e come forse saprai Angioletto è anche il chitarrista dei Neid di Viterbo). Personalmente ho collaborato con Matteo di Hurry Up! Records per alcuni anni, curando e trasportando la distro dell’etichetta ai concerti in giro per l’Italia, nonché dandogli una mano a gestire un po’ il tutto. Ho lasciato poi l’HUP intorno al 2008, e da allora a lui non l’ho più sentito. Sapevo stesse in Irlanda con la moglie, ma quello che dico sbaglio. E sempre per quel che ne sappia io, il sito web esiste ancora, ma non ho la più pallida idea se faccia nuove uscite o sia solo un sito di riferimento per ordini di materiali vari, tipo vecchi dischi della label e quant’altro...

Tornando ai Vento d'Ottobre... ho visto un paio di amici mettersi le mani ai capelli ascoltando la voce femminile in "Come un ladro nella notte", a me al contrario piace parecchio il contrasto che si crea durante il pezzo... chi la canta?

Le due strofe di “Come un ladro nella notte” sono cantate dalla nostra amica Alexandra. L’idea era infatti quella di creare un contrasto molto netto tra la mia voce e la sua, e quando la canzone è stata concepita v’era da principio l’intenzione di inserire una voce femminile. Diciamo che la strofa doveva seguire una linea melodica ben definita, la quale avrebbe dovuto a sua volta contrapporsi al resto delle voci. In soldoni, una voce come ad esempio quella di Candace Kucsulain (Walls Of Jericho), non “ci avrebbe azzeccato” un’emerita mazza. Oltre a ciò, è stato anche lo stesso testo, e il suo significato, a direzionarci verso questa scelta stilistica. A noi piace sia come concetto che come risultato, e sinceramente non è che mi interessi gran che delle reazioni altrui. Per quel che mi riguarda, chi ascolterà la canzone e ne rimarrà “sconvolto”, potrà stracciarsi le vesti, mettersi le mani nei capelli se li ha, altrimenti potrà anche infilarsele da qualche altra parte ahahah!



I testi... croce e delizia dell'hardcore cantato in italiano. Finalmente ne ascolto alcuni alquanto personali, privi dei soliti luoghi comuni e di "slogan" politici che sembrano scritti da un cavernicolo rimasto agli anni '80 (nonostante -purtroppo- siano sempre attuali). Ti va di spenderci due parole "track by track"?

Considera che inizialmente volevamo inserire dei brevi contenuti traccia per traccia, al fine di dare delle chiavi d’interpretazione dei testi. Poi abbiamo fatto un passo indietro, onde evitare di eliminare il fascino dell’interpretazione personale delle liriche, e anche perché in pochissime righe di spiegazione si rischia comunque di sminuirne il significato (e ci tengo a precisare che, a parer mio, non credo sia possibile trattare e argomentare temi di elevata profondità concettuale in un testo hardcore punk). Pertanto questo è un “favore” che in via privilegiata faccio solo per te ahahah! Succinto (forse) e in generale: “Avete più paura Voi” apre l’omonimo disco, ed è un “inno” che esorta a non allentare mai la “morsa” della libertà di pensiero, che può e deve mettere di continuo in discussione lo stato di cose presente e l’ordine costituito (muovendosi aimè, storicamente, tra esigue vittorie e notevoli sconfitte). Sta ad evidenziare come l’ “atteggiamento censorio e coercitivo” di chi detiene l’ “auctoritas” (nel senso proprio di capacità di assoggettare a sé la volontà degli individui: il “potere di essere ubbidito” cit. Affluente) coesiste insieme alla “paura” di poter perdere questa stessa autorità. Il terrore del suo poter venire meno in qualsiasi momento. Essa perciò deve venir perpetrata e perpetuata con la violenza e con la manipolazione. Qualsiasi “Potere” cova in sé questa consapevolezza. Il titolo si riferisce ad una celeberrima frase attribuita al filosofo Giordano Bruno, “Avete forse più timore Voi nel pronunciare questa sentenza che io nel riceverla”, rivolta alla “Santissima Inquisizione”, il giorno in cui fu condannato al rogo per eresia. “Rinunci a te” è un dialogo tra due persone il cui rapporto, profondo e di lunga data, è stato messo in crisi da alcuni eventi di natura personale. Allo sfogo di chi si arrende davanti a ciò, si contrappone il duro monito della controparte, che incita a riappropriarsi della propria vita, non risparmiandosi in dure critiche verso questo atteggiamento di rinuncia esistenziale. Oltre ad essere il tentativo difficile di recuperare un rapporto ormai fortemente incrinato. “Eclissi dell’ideale” penso sia abbastanza comprensibile in linea generale. E’ stata comunque ispirata dai fatti di Sivens dell’autunno del 2014, e quindi dalla barbara uccisione, avvenuta per mano della polizia mediante una “granata”, del giovane attivista francese Rémi Fraisse, il quale stava protestando contro la costruzione della diga (fatto di cronaca politica pressoché oscurato in Italia dai media, ma diventato caso nazionale in Francia). L’ideale tende ad eclissarsi di fronte alla violenza a cui si è sottoposti, e alla conseguente impotenza esperita. Dico “tende”. Perché non sparisce del tutto, e non potrà mai sparire. “Il mondo fuori da qui” parla invece di una riconciliazione avvenuta, e narra del riavvicinamento di madre e figlio dopo la morte improvvisa del padre. Il lutto, e il dolore, ridanno vita a questo legame. E’ una storia vera che ho avuto modo di conoscere dal diretto interessato quando vivevo a Genova. “Come un ladro nella notte”, anch’essa ispirata dalla conoscenza diretta di un calvario psicofisico, cerca di raccontare il problema legato ai disturbi dell’alimentazione, e di come la società dell’immagine contribuisca in maniera prepotentemente negativa all’insorgere di problematiche così gravi e dolorose. “Guardo alla terra” tenta di far intendere che l’antispecismo non è un “movimento di fanatici”, una “moda passeggera”, una “setta esoterica”, un “tecnicismo da addetti ai lavori”, e pertanto una scelta che riguarda solo chi la compie avulsa dal contesto globale. Esso non è distinto né disgiunto da qualsiasi concezione elaborata da chi si pone come obiettivo un’analisi critica della realtà, si conoscibile e interpretabile, che cerchi di superare il pensiero unico dominante nella prospettiva più ampia. Appunto, “guardare alla terra”. Chi crede all’oggi di poter impostare la “questione etica” in termini differenti, escludendo aprioristicamente l’antispecismo, o si autoconsola nel proprio “quieto vivere” illudendosi del falso, o è in malafede, o più schiettamente deve affermare in sincerità di essere insensibile e indifferente al problema (io posso anche essere fermamente convinto che il sale sia dolce, ma rimarrà sempre salato a prescindere dalla mia convinzione). E viene detta esser anche una “promessa”, che il singolo fa a sé stesso e al mondo, in un’ottica “ecumenica” di liberazione. Di “Ogni nuovo giorno” ne abbiamo già in parte parlato, e all’epoca fu scritto da un poco più che ventenne con tanti buoni propositi. Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno, lo sai anche tu. E’ un testo schietto, ingenuo e immediato. Ricontestualizzandolo, a me piace ancora così, e abbiamo deciso di riproporlo tale e quale, anche per il discorso della “dedica” ai miei vecchi compagni d’avventura. “La risacca” è invece una considerazione leggermente più matura degli anni che sono passati. Smaltita la sbornia della nottata, lo stato di “ebbrezza” in cui si guardava al futuro, abbiamo aperto gli occhi abbagliati dall’accecante sole mattutino, risvegliandoci anche con una certa dose di nausea. Consapevoli della sublimazione estetica dei conflitti sociali ed esistenziali in cui la nostra comunità anestetizzata vive e vegeta, la risacca è la “corrente di riflusso” di quei valori che appunto sempre ritornano e ci pungolano, e dalla quale non riusciamo (né forse mai riusciremo) completamente a distaccarci (non è l’età che determina la “razza”). Ma è anche e soprattutto la “coscienza infelice” che risiede in ognuno di noi. “La Spada e La Croce” è la cover di un gruppo hardcore punk perugino attivo principalmente negli anni novanta, i “Five Boots”. Sono stati uno tra i primi gruppi che abbia mai visto dal vivo in un centro sociale, ovvero la mia iniziazione, e hanno rappresentato per me adolescente il pathos inselvatichito della vecchia scuola italiana. Quei concerti, quei suoni, quelle atmosfere, tutto quanto ancora molto innestato nello spirito originario del punk, sono sempre presenti, indelebili, nella mia mente. M’è venuto naturale e spontaneo proporre al gruppo di riarrangiare questa loro canzone. Infine, “Qualcosa per cui morire”, è un colloquio con la propria ex compagna, ormai lontana, scritto però sotto forma di “monologo”. E’ una confessione di una persona che ha lasciato lei, e la sua vita precedente, per andare via e inseguire un ideale, lasciandosi tutto alle spalle. Una scelta pericolosa, potenzialmente senza ritorno, in quanto può portare anche alla morte. Non ci sono riferimenti personali in questa canzone, ma mi è stata comunque suggerita da un fatto realmente accaduto, e da cui sono rimasto colpito. Il titolo è volutamente ripreso da una canzone dei Monkeys Factory, “Qualcosa per cui piangere”, dalla melodia melanconica e dal contenuto sognatore, che a me ha sempre affascinato.



Le co-produzioni nel giro DIY sono la norma, ma ho notato che i nuovi gruppi ormai mandano la stessa mail-fotocopia a decine di piccole etichette dicendo in sostanza "se mi dai tot euro, avrai tot dischi" senza neanche sapere chi si cela dietro un determinato loghetto. I Vento d'Ottobre invece ho avuto l'impressione che abbiano "mirato" le proprie richieste... sbaglio?

“Mirato” è la parola giusta nella misura in cui si tiene a mente che non c’è stata strategia alcuna di “marketing”, ma al limite solo di buon senso. Abbiamo contattato le etichette che ci sembrava fossero adeguate, e ovviamente tutte nel circuito DIY. Qualcuna nemmeno ci ha risposto, altre hanno replicato con frasi di circostanza, sicuramente in buona fede, del tipo “scusateci ma adesso siamo pieni d’uscite e molto tirati con i soldi” e similari (dando un po’ l’idea dei vecchi tappi delle birre “riprova sarai più fortunato”), e poi ci sono state quelle “giuste” che fin da subito si sono dimostrate intenzionate a darci una mano per valorizzare il disco. Anche qui ti dico la verità. L’ho detto anche agli altri ragazzi del gruppo e ripetuto fino all’ultimo (eravamo circa in tarda estate), per me potevamo anche masterizzarlo per i cavoli nostri senza addirittura mandarlo in stampa, non ritenendola comunque indispensabile. Schiaffarlo ovviamente online, e fatta la festa. Pensa quanto me ne fregava. Poi, inaspettatamente e in zona Cesarini, abbiamo trovato persone serie e interessate, come te, e di questo siamo stati molto contenti. In tal modo abbiamo ottenuto, oltre che la certezza della stampa del cd, quel tanto di visibilità in più a livello di scena italiana che non guasta mai. Anche questa stessa intervista è frutto di tutto ciò e del tuo spirito d’iniziativa.

Classicone... cosa vi fa venire in mente la parola "porro"?

Guarda, sarò scontato ma quando sento questa parola per primo mi vieni in mente te e la tua storica fanza, e poi la mitica frase del numero 4: “la fanzine che esce ogni morte di papa”. Citazione colta ormai facente parte della memoria collettiva della scena italiana ahahah!

Concludiamo con un altro tuffo nel passato... l'ultimo concerto degli Ingegno fu al B(r)each Fest, una 2 giorni organizzata in un albergo abbandonato di Messina nel 2006... che ricordi hai di quel festival?

Qui ti devo correggere, dato che l’ultimo concerto degli Ingegno a Messina, e anche l’ultimo nostro concerto in assoluto, è stato i primi di settembre del 2009...

Hai ragione! Vi ho rubato 3 anni di vita...

Ti ricorderai pure te che era un altro festival, da voi organizzato, situato in mezzo ai monti e ai boschi del messinese, e vicino a dei ruderi di antiche dimore padronali (o qualcosa del genere). Mentre il giorno prima eravamo stati a Lamezia Terme in Calabria. Il B(r)each Fest era invece in un residence dismesso e appositamente occupato per l’occasione (se non erro) come hai già ricordato te, e a due passi dal mare. Due location molto differenti in realtà. Di entrambi i festival ho comunque ricordi assai piacevoli, e anche particolari. Il primo, nel quale suonammo la seconda sera, fu un vero devasto. Quando ringraziai voi tutti e i presenti, specificando di essere noi molto lieti di presenziare in Sicilia per la prima volta, mi ricordo ci beccammo anche un bel “benvenuti in terronia”, un’autoironia che li per li apprezzai decisamente. Anche il secondo Fest è stato bello, sebbene lo stato d’animo del gruppo fosse leggermente diverso, per gli ovvi motivi già menzionati. Ma la “terronia” la conoscevo già. Non so se te l’avevo mai detto, ma i miei nonni paterni erano di Acate, in provincia di Ragusa. Ho trascorso diverse estati in Sicilia da bambino. Ero li quando ancora esisteva la base NATO missilistica di Comiso coi Cruise puntati verso l’URRS, e che una volta visitai anche, insieme a mio zio. Ero li quando saltava in aria Borsellino. Ero li quando il pomeriggio passava il leggendario “Don Turiddu” col furgoncino, e noi “carusi” mangiavamo le granite siciliane, i panini col gelato, e anche le scacce e i “ficurinnia”. Ero li quando al mercato sentivi strillare “trigghia, murruzzu e ammaru”. Ero li quando ancora il prete veniva a dire la messa al mare direttamente dal paese, col palco microfonato e la “folla” sottostante. Una chiesa all’aperto nel bel mezzo di una strada semi asfaltata. Ero li quando salivamo in quattro sopra l’apetto, e passavamo tutto il giorno a “travagghiari” nell’aranceto strappando i getti dagli alberi. Ero li quando la zia Maria, tutte le sacrosante sere, prendeva una sedia, si faceva la strada a piedi fino alla spiaggia, e poi da seduta ammirava il tramonto. Non ne ha mai saltato uno ogni estate della sua vita. E tanti altri ancora sono i miei ricordi. Ad ogni modo caro Dario, eccoci qua, arrivati alla fine. Mi ha fatto molto piacere rispondere a questa tua intervista per noi. Mi auguro sia piaciuta anche a te, e aspetto di rivederti presto ancora una volta lungo la strada. Possibilmente proprio nella tua, e in parte anche un po’ mia, Sicilia. Un abbraccio.


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